Spazioprever lezioni in rete - I.I.S. "A. Prever" Pinerolo
Primo Levi e Jean Samuel (“Pikolo”), un’amicizia nell’inferno di Auschwitz
Ancora oggi mi interrogo su questo mistero della memoria: entrambi [io e Primo Levi] abbiamo avuto la sensazione
di un incontro cruciale, indimenticabile, eppure quel ricordo non si fondava sugli stessi gesti, sulle stesse
parole, sulle stesse emozioni.
[Jean Samuel]
Giovane ebreo di Wasselonne (vicino a Strasburgo, in Alsazia), fu arrestato nel marzo 1944 e deportato ad Auschwitz. Studente di farmacia, come Primo Levi condivideva la passione per le materie scientifiche. Scambiò due tozzi di pane in campo di concentramento (dove il cibo possedeva un valore inestimabile) per due tomi di analisi matematica, che nascose e studiò di notte durante la sua prigionia ad Auschwitz.
Oscillò la scaletta di corda che pendeva dal portello: qualcuno veniva. […] Era solo Jean, il Pikolo del nostro Kommando.
Jean era uno studente alsaziano benché avesse ventiquattro anni, era il più giovane [prigioniero] del Kommando chimico.
Era perciò toccata a lui la carica di Pikolo, vale a dire di fattorino-scritturale, addetto alle pulizie della baracca,
alle consegne degli attrezzi, alla lavatura delle gamelle, alla contabilità delle ore di lavoro del Kommando. […]
Il Pikolo (che di solito non ha più di diciassette anni) non lavora manualmente, ha mano libera sui fondi della marmitta
del rancio e può stare tutto il giorno vicino alla stufa.[…]
Jean era un Pikolo eccezionale. Era scaltro e fisicamente
robusto, e insieme mite e amichevole: pur conducendo con tenacia e coraggio la sua lotta contro il campo e contro la morte,
non trascurava di mantenere rapporti umani coi compagni meno privilegiati.
(da Se questo è un uomo di Primo Levi
Sono diventato Pikolo nell’estate del 1944. Ero ad Auschwitz, nel campo di Monowitz [ovvero Auschwitz III], da tre mesi quando Primo Levi mi ha dato questo nome, il mio nuovo nome. […] E’ stato lì che l’ho conosciuto, nel Kommando voluto dall’amministrazione di Auschwitz in previsione della futura produzione della fabbrica di gomma sintetica della Buna.
Primo e io siamo diventati amici non appena ci siamo conosciuti. E’ accaduto durante un allarme aereo, il primo a Monowitz […] il 4 aprile 1944. Io, alsaziano, parlavo tedesco. Primo no; io non parlavo italiano, lui parlava un ottimo francese. Io ero stato deportato con tanti membri della mia famiglia, lui era arrivato solo. […] Entrambi avevamo studiato ma non ancora lavorato. […] Il termine Pikolo non apparteneva al vocabolario del campo, era un’invenzione di Primo. Gli è venuto così, spontaneo, ed è rimasto. [pp.5-6]
“La mia nomina a Pikolo è avvenuta in un altro modo, molto semplice: un giorno Oscar [il kapo] ha chiesto se qualcuno sapesse stirare e lavare. Dato che capivo il tedesco, ho subito alzato la mano. Era un grosso rischio: se avessi lavorato male, se l’avessi irritato, il Kapo avrebbe potuto spedirmi in un Kommando più duro, in cui avrei trovato morte certa. […] E così mi sono ritrovato a lavargli i panni con il surrogato di sapone che mi dava e a stirargli i pantaloni […]. Andare a prendere la zuppa per il pranzo era un altro dei miei privilegi. Uscivo dal cantiere verso mezzogiorno, insieme al compagno che sceglievo, e insieme portavamo la marmitta vuota sino alla cucina della Buna, per poi tornare indietro carichi. […] Primo per strada ha voluto tradurmi alcuni versi di Dante e spiegarmeli, così che potessi cogliere tutta la forza del poema [pp.26-29]
Un episodio della nostra storia comune essenziale nel suo libro [di Levi] e che pure, curiosamente, non lo è stato per me, che ne conservo un ricordo indifferente… Rivedo Primo che si concentra, teso nello sforzo di rammentare in maniera esatta, poi l’espressione di sollievo che accompagna la scoperta di un’interpretazione di quei versi cui non aveva mai pensato prima. Un’interpretazione che si addiceva perfettamente a circostanze che Dante non aveva previsto. E come avrebbe potuto concepire Auschwitz?
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