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Il cacao

 

i frutti del cacao I frutti del cacao

Storia del cacao

Agli inizi del '500, durante le esplorazioni del continente americano, gli europei incontrarono il cacao. La cioccolata, la bevanda ottenuta dalla lavorazione dei semi di cacao, fu la prima delle tre bevande analcoliche che, nel corso dei due secoli successivi, contribuirono all'introduzione di nuove abitudini alimentari e alla formazione di inediti modelli culturali e di costume.

Una delle prime descrizioni del cacao risale al 1519. Fu scritta da Hernán Cortés, nella Seconda relazione della Nuova Spagna all'imperatore Carlo V:

«Cacap, che è un frutto simile alla mandorla, il qual ridotto in polvere l'usano in luogo di vino, e in quella provincia è in tanta stima che con quello in vece di danari nelle piazze e ne' mercati e in ogni luogo comprano tutte le cose necessarie».

Nella "Relazione d'alcune cose della Nuova Spagna e della gran città di Temistitan Messico" fatta per un gentiluomo del signor Fernando Cortese, scritta da un anonimo spagnolo e pubblicata nel 1556 nelle Navigazioni e Viaggi di Giovanni Battista Ramusio, si ha una più precisa descrizione del cacao e della preparazione della cioccolata.

«Questi semi, che chiamano mandorle o cacao, si macinano e si fanno polvere, e macinansi altre semenze picciole che hanno, e gettano quella polvere in certi bacini che hanno con una punta; poi vi gettano l'acqua e la mescolano con un cucchiaro, e doppo l'averlo molto ben mescolato lo mutano da un bacino all'altro, in modo che leva una spuma, la quale raccogliono in un vaso fatto a posta. E quando lo vogliono bevere, lo rivoltano con certi cucchiari piccioli d'oro o d'argento o di legno e lo bevono...».

Per tutto il XVI secolo, produzione e commercio del cacao furono monopolio degli spagnoli. In Spagna e nelle sue colonie, il cacao, una volta essiccato, torrefatto e macinato, serviva per la preparazione della cioccolata, tra i cui ingredienti, come descritto da una ricetta spagnola del 1631, figuravano, oltre all'acqua e ai semi di cacao, peperoncini rossi o grani di pepe indiano, rose d'Alessandria, cannella, nocciole, mandorle e zucchero.

All'inizio del XVII secolo gli stabilimenti di trasformazione del cacao si trovavano tutti in Spagna, e la cioccolata era la bevanda pregiata consumata dall'aristocrazia spagnola. La cioccolata, tuttavia, non era solo una bevanda per la nobiltà, anche i religiosi ne facevano abbondante uso, poiché, secondo il principio che i liquidi non interrompono il digiuno, era consumata abitualmente durante i periodi d'astinenza dal cibo.

Sul finire del 1500, dal Messico, il seme del cacao fu introdotto in Venezuela dove l'albero del cacao, come in molte altre regioni americane, era un albero selvatico. All'inizio il commercio del cacao venezuelano fu gestito dagli spagnoli, ma ben presto una certa quota passò agli olandesi che nella seconda metà del 1600 portarono il cacao ad Amsterdam. Durante il XVII secolo Francia e Inghilterra avviarono numerose piantagioni di cacao nelle loro colonie caraibiche e della terra ferma Sud americana.

In Francia, il primo a consumare cioccolata, fu il cardinale Richelieu che la utilizzava per moderare i vapori della milza, mentre la regina Maria Teresa d'Asburgo, moglie di Luigi XIV, la introdusse alla corte di Versailles nel 1659. Nel '700, Il cacao era la moda di corte del momento. Negli anni del governo di Filippo d'Orléans (1715-23), l'espressione "andare al cioccolato" significava, assistere al levarsi del principe, entrare nei suoi favori e avere un trattamento privilegiato.

Uno dei primi italiani ad incontrare e a descrivere l'uso che del cacao facevano gli indigeni centro americani, fu il fiorentino Francesco Carletti. Ecco cosa racconta nei suoi "Ragionamenti del mio viaggio intorno al mondo", ul diario scritto tra il 1594 e il 1606.

«Nella costa pigliammo prima porto in Sansonat [San Benito ai confini del Guatemala e Messico] ...luogo dove nasce il «caccao», frutta tanto celebre e di tanta importanza in quella provincia che si afferma consumarsene ogn'anno per più di cinquecentomila scudi; la quale frutta serve ancora di moneta per spendere e comprare nelle piazze le cose minute... Ma il suo principal consumo si fa in certa bevanda che l'Indiani chiamano «cioccolate», la quale si fa mescolando dette frutte, che sono grosse come ghiande, con acqua calda e zuccaro...»
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Nel corso del XVII secolo, sostenuto dai gesuiti spagnoli, l'uso del cacao e della bevanda che se ne ricavava, arrivò in Italia. Tuttavia qualcuno come Francesco Redi, e con lui certamente molti altri, continuava a preferire il vino.

Nel suo Ditirambo sui vini toscani, la cui prima versione fu pubblicata nel 1685, Redi, a proposito della cioccolata e delle altre due nuove bevande esotiche, così si esprime:

«Non fia già che il cioccolatte
v'adoprassi, ovvero il tè
medicine così fatte
non saran giammai per me
beverei prima il veleno
che un bicchier che fosse pieno
dell'amaro e reo caffè»

Capitale italiana del cioccolato è Torino, merito conferitogli dalla storia e dalla tradizione. Il cacao, secondo la tradizione torinese, prima ancora di essere portato a Firenze dal Carletti, comparve a Torino nel 1563.

Fu il duca Emanuele Filiberto a riuscire nell'impresa di eludere il monopolio spagnolo e i divieti d'esportazione. Emanuele Filiberto conobbe cacao e cioccolata durante il suo stanziamento in Spagna come comandante delle armate imperiali, e trovandola di suo gusto decise di procurarsi del cacao. Così, superando gli attenti controlli spagnoli, riuscì a prendere una certa quantità di semi di cacao che portò di nascosto in Piemonte.

A Torino il cioccolato divenne un genere di consumo solo nel 1678. In quell'anno a Giovanni Antonio Ari, fu rilasciata la prima licenza per vendere la "cioccolata in bevanda" in un pubblico spaccio. Inizialmente la bevanda non solo non piacque, ma fu boicottata da voci che la indicavano come "bevanda malefica", causa della gotta che aveva colpito Carlo V e Filippo II.

Il cioccolato però è un genere di conforto senza eguali per fermarsi davanti alle maldicenze e nel corso del XVII e del XVIII secolo si diffonde rapidamente soprattutto come bevanda.
Nell'Ottocento la cioccolata era ormai un'abitudine quotidiana almeno per le persone più abbienti, tanto che in ogni cucina, degna di questo nome, doveva esserci una cioccolatiera.

La produzione industriale del cioccolato a Torino risale ai primi anni del 1800 in seguito alla costruzione della macchina idraulica per la raffinazione del cacao, ideata dal piemontese Doret.

Il primo ad acquistarne il brevetto fu Caffarel. Nel 1802 Caffarel, padre e figlio, iniziarono la produzione del cioccolato per mezzo di macchina idraulica nei pressi di Porta Susa. I primi cioccolatini venduti sciolti si chiamavano givu, erano venduti senza carta ed erano poco più grandi di un confetto.

Era il 1867 quando Prochet, proprietario della Caffarel, creò un nuovo tipo di givu, più lungo e morbido, la cui pasta veniva arricchita con le nocciole macinate. Fu la maschera Gianduja, invitata a giudicare la qualità del nuovo cioccolatino, a chiamarlo gianduiotto.

Il cioccolato moderno, preparato con cacao privato delle sostanze grasse, è sicuramente diverso da quello che si consumava un tempo. La tecnica per estrarre i grassi del cacao era applicata in Francia già nel 1763, ma solo nel XIX secolo divenne una pratica comune.

Inizialmente la macinazione dei grani di cacao era manuale, poi, nella fabbrica di Fry & Sons, fondata a Bristol nel 1728 da Joseph Fry, a questa operazione si applicò l'energia idrica.

Questa fabbrica fu anche la prima, nel 1795, ad applicare la macchina a vapore alla fabbricazione del cacao. Nel 1828 il chimico olandese Conrad Van Houten, riuscì ad isolare il grasso contenuto nei semi e ad ottenere la polvere di cacao.

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