Spazioprever lezioni in rete - I.I.S. "A. Prever" Pinerolo
La poesia, una delle prime della raccolta, è stata scritta nella residenza dannunziana chiamata La capponcina (una villa situata nel comune di Settignano) ed è ambientata sulle campagne toscane, a Fiesole. Qui D’Annunzio e la sua compagna vivono una dimensione pre estiva (siamo infatti ad inizio giugno) che il poeta astrae dalla realtà e rende mitologica. Non succede quasi nulla nel testo (si sente solo il fruscio che fanno le foglie di gelso nelle mani di un agricoltore che le raccoglie a sera inoltrata), ma le analogie che quest’ambientazione suggerisce al poeta sono moltissime.
D’Annunzio spera che le sue parole siano, nella sera, fresche come le fogli del gelso che vengono raccolte da un contadino che, per fare ciò, si serve di una scala. Essa si annerisce a causa dell’arrivo della notte, con la luna che rende d’argento tutti i rami spogliati di foglie e fa calare sulla Natura e sui due amanti un velo che racchiude il loro sogno d’amore e che sembra dar da bere alla campagna la sua quiete. Questa prima strofa riecheggia il magico momento della calata della sera sul mondo.
Il poeta auspica che le sue parole siano dolci come il suono lieve della pioggia che era caduta, poco tempo prima per salutare la fine della primavera, sui gelsi, sulle virti, sugli ulivi, sui pini dalle rosee dita (riferimento all’Iliade di Omero: l’aurora dalle rosee dita), sul grano che sta maturando, sul fieno appena tagliato. Il poeta incarna la possibilità di parlare di cose sovrumane, spiegando le leggi della Natura.
Se prima era stato il poeta a cercare di spiegare la Natura, in questa strofa la fa da padrona la necessità di parlare delle colline, con il poeta che si trasforma in dio che spiegherà ad Eleonora Duse (“Io ti dirò…”,v. 35) quali saranno i reami d’amore cui l’Arno chiama entrambi gli amanti; il poeta le spiegherà anche il segreto in base al quale le colline, che sembrano labbra socchiuse, serrate per un divieto arcano, non possono parlare all’uomo e svelare il mistero che contengono. È “la volontà di dire” che le rende belle; il loro silenzio, per l’uomo che lo sa interpretare (il superuomo, il poeta), è fonte di consolazione sempre nuova.
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